Per molti la domanda è: qual è la differenza tra coloranti e pigmenti? Ma per altre persone il quesito potrebbe essere anche: esiste una differenza tra pigmenti e coloranti? Iniziamo quindi da quest’ultima, dicendo che sì, questi due termini indicano due sostanze diverse.
Entriamo di fatto in quel campo vastissimo delle parole che “sembrano sinonimi ma non lo sono”, di quei termini cioè che dall’esterno sembrerebbero avere lo stesso significato, e che in una discussione poco sorvegliata e tutto fuorché tecnica potrebbero magari venire usati per indicare la medesima cosa, ma che in realtà presentano definizioni differenti.
Qualcosa, di certo, questi due termini hanno in comune: sia i coloranti che i pigmenti vengono usati per “colorare” qualcosa. Ma le similitudini finiscono qui, poiché l’origine dei coloranti è diversa da quella dei pigmenti, così come sono tendenzialmente differenti gli utilizzi e persino i risultati. Oggi vedremo quindi quali sono le differenze tra coloranti e pigmenti, portando degli esempi concreti dell’uno e dell’altro, e spiegando quali sono le differenze concrete per l’artista. Buona lettura!
- La differenza tra coloranti e pigmenti, in breve
- Cosa sono e come sono fatti i pigmenti
- Un esempio di pigmento: la terra di Siena
- Cosa sono e come sono fatti i coloranti
- Un esempio di colorante: l’indaco
- Una questione di resistenza alla luce
La differenza tra coloranti e pigmenti, in breve
Nel nostro magazine abbiamo già parlato diverse volte dei pigmenti pur non spiegando mai qual è la differenza tra questi e i coloranti. Chi ci segue assiduamente sa quindi che il pigmento, al pari del colorante, è una sostanza usata per attribuire o modificare il colore di un materiale.
I pigmenti
Il pigmento resta sempre una cosa a sé stante. Non esiste infatti un pigmento che sia in grado di sciogliersi nel solvente utilizzato, come potrebbe essere per esempio la semplice acqua, né un pigmento che riesca a sciogliersi o a unirsi effettivamente alla superficie su cui viene depositato per mezzo di un pennello, come potrebbe essere un foglio da disegno o una tela da dipingere.
Il pigmento non si scioglie: si disperde. Approfondiremo la natura dei pigmenti più avanti nell’articolo; per ora ci limiteremo a dire che esistono pigmenti di tipo diverso, ovvero pigmenti organici e inorganici, di origine minerale. All’interno di entrambi gruppi è peraltro possibile fare un’ulteriore distinzione, dividendo i pigmenti naturali e in pigmenti di origine artificiale.
I coloranti
E poi ci sono i coloranti. Questi, diversamente dai pigmenti, hanno la caratteristica di “sciogliersi”, o meglio, di legarsi a delle altre molecole. Ecco allora che, quando utilizziamo un colorante per colorare un qualche materiale – come per esempio un tessuto – le molecole del colorante non si limitano ad “adagiarsi” sulla superficie, andando invece a creare dei legami chimici con essa.
Potremmo quindi guardare ai pigmenti come a qualcosa che crea una “pellicola”, un “rivestimento esterno” sui supporti da colorare, laddove invece i coloranti vanno a colorare la massa del supporto, modificando di fatto le molecole incontrate. Anche i coloranti possono essere divisi in due grandi gruppi: da una parte abbiamo i coloranti naturali, dall’altra quelli artificiali, ottenuti per mezzo di sintesi. Il colorante naturale può inoltre essere di origine vegetale o di origine naturale.
Ora sai qual è, in breve, la differenza tra colorante e pigmento. Ma quando si è iniziato a usare l’uno e l’altro? Quali sono le differenze in termini di utilizzo? Lo vediamo immediatamente.
Cosa sono e come sono fatti i pigmenti
Abbiamo quindi capito cosa sono i pigmenti: si tratta di sostanze colorate che possono essere applicate su una superficie per colorarla, pur essendo insoluti. Utilizziamo dei pigmenti mescolati e “dispersi” (ma non sciolti) in acqua, in oli, in resine, in polimeri acrilici, quando pitturiamo con le diverse tecniche pittoriche. Di pigmenti ce ne sono davvero tantissimi, come per esempio: il verde smeraldo, il giallo di cromo, il bianco di zinco, il blu oltremare, il rosso carminio, la terra d’ombra naturale, il nero fumo, l’arancio di cadmio, il viola di marte. Questi sono tutti pigmenti, e non coloranti.
Come abbiamo detto sopra, esistono pigmenti organici e inorganici. Nel primo gruppo troviamo per esempio i pigmenti che ci arrivano dal mondo vegetale, come per esempio le diverse clorofille. Nel secondo gruppo troviamo tutti i pigmenti minerali, ovvero delle polveri caratterizzate da un colore abbastanza forte, le quali vengono disperse nel medium desiderato per avere un mix dalla consistenza giusta per poter essere “spalmata” sul supporto artistico.
Ci sono pigmenti che vengono utilizzati fin dalla preistoria, di cui abbiamo notizia grazie alle tracce lasciate nelle caverne dai nostri antenati. Altri sono stati introdotti dagli antichi egizi, altri ancora dai romani, e poi via via di secolo in secolo, passando per il Rinascimento per arrivare all’età moderna.
Un esempio di pigmento: la terra di Siena
Tra i pigmenti troviamo le “terre”, ovvero dei pigmenti inorganici minerali naturali, i quali sono utilizzati – come minimo – a partire da 40mila anni fa. Il termine terra di Siena viene attribuito a dei pigmenti che in origine venivano realizzati a partire da una terra estratta presso una cava del Monte Amiata, che nel Medioevo era per l’appunto nel territorio della Repubblica di Siena (oggi si trova invece nel grossetano). Esistono sia la terra di Siena naturale che la terra di Siena bruciata, più scura.
Va detto che, ovviamente, questo pigmento è stato prodotto nel tempo a partire da terre estratte altrove: attualmente chi acquista il colore terra di Siena acquista una sostanza fatta con delle miscele di minerali brunastri e ossido di ferro, senza nessun legame con la cava toscana, che peraltro è stata chiusa una sessantina di anni fa.
In ogni caso, per produrre questo pigmento, si inizia con l’individuazione e l’estrazione della terra, per procedere con la frantumazione e l’asciugatura. A quel punto la terra è pronta per essere immessa nel processo di produzione del colore, per ottenere una tinta con un potere coprente medio-basso.
Cosa sono e come sono fatti i coloranti
Anche gli utilizzi dei coloranti sono antichi, pur non raggiungendo l’età praticamente incalcolabile dei pigmenti. I coloranti naturali possono essere sia di origine vegetale, estratti quindi da foglie, fiori, alghe o radici, che di origine animale, a partire per esempio da insetti o persino molluschi. Ci sono poi i coloranti artificiali, che vengono prodotti sinteticamente in laboratorio.
L’utilizzo dei coloranti naturali in passato: l’aneddoto di Alessandro Magno
Non bisogna pensare che i coloranti naturali venissero usati, in antichità, così come venivano trovati. Al contrario, per ottenere dei coloranti efficaci e duraturi c’erano delle lavorazioni di volta in volta diverse: tipicamente si trattava di estrarre il colorante, per esempio da una radice, per mezzo di macerazione, per poi andare a bollire quanto raccolto. Talvolta era poi necessario rendere la sostanza ottenuta più basica, altre volte più acida, e via dicendo. Si tratta quindi di conoscenze sviluppate nei secoli, in modo probabilmente lento.
Abbiamo notizie abbastanza precise sull’uso dei coloranti nei secoli passati. Un esempio famoso e parecchio interessante è quello che risale al 4° secolo avanti Cristo, e che ha come protagonista l’esercito di Alessandro Magno. I suoi soldati, in occasione di una battaglia contro i persiani, ebbero l’idea di macchiare qui e lì le proprie vesti con del colorante rosso, così da far pensare ai nemici di avere a che fare con parecchi soldati feriti negli scontri precedenti. L’inganno ebbe successo, con l’esercito del re macedone che ebbe la meglio.
Per creare queste macchie venne usato il colorante robbio, un rosso brillante realizzato a partire dalle radici della robbia, una pianta officinale. Al suo interno – lo sappiamo adesso, ma di certo non lo sapevano ai tempi di Alessandro Magno – si trova una sostanza chiamata alizarina, che per struttura molecolare ricorda da vicina l’henné.
L’utilizzo dei coloranti artificiali nella storia
Insomma, i coloranti naturali sono usati da secoli e secoli. È diverso invece il discorso per quanto riguarda i coloranti artificiali: il primo colorante di sintesi venne infatti realizzato nel 1856 da parte di William Henry Perkin.
Anche questa storia è quantomeno curiosa. Perkin all’epoca era diciottenne, e stava provando a sintetizzare un vaccino antimalarico, avendo accolto lo sfidante compito dal proprio professore August Wilhelm von Hofmann, famoso chimico tedesco. Ebbene, Perkin non riuscì a creare nessun vaccino, ma pulendo gli accessori in vetro usati per l’esperimento si accorse per caso che il precipitato ottenuto, ovvero un solido dal colore molto scuro, una volta dissolto nell’alcol diventava improvvisamente del colore della porpora. Fu così che nacque la porpora di anilina, chiamata anche porpora di Tiro o mauevina.
Al giorno d’oggi, quando si parla di coloranti usati in massa, si fa riferimento quasi esclusivamente a coloranti di sintesi, i quali presentano costi decisamente minori rispetto agli “originali” di origine naturale.
Un esempio di colorante: l’indaco
Per i pigmenti ci siamo soffermati sulla terra di Siena; per i coloranti prendiamo come esempio l’indaco. Tutti sappiamo che l’indaco è un colore azzurro, o meglio, un colore che nello spettro percepibile dall’occhio umano si situa tra il blu e il viola. Questo colorante viene utilizzato in Asia da oltre 4 mila anni.
Il colorante originale viene estratto da una pianta che cresce nelle regioni tropicali, che non a caso porta oggi il nome scientifico Indigofera tinctoria, laddove “indicum” in latino indica per l’appunto qualcosa di proveniente dall’India. Da sempre, va ricordato, questo paese è stato famoso per l’estrazione e per la lavorazione di coloranti naturali per colorare tessuti. Sappiamo che l’indaco veniva utilizzato anche in Egitto, avendo trovato delle stoffe trattate con questo colorante in alcune mummie.
In Occidente l’indaco è stato introdotto piuttosto tardi, nel Sedicesimo secolo, a partire dalle Marche. Ribadendo quanto detto sopra, sottolineiamo il fatto che per produrre questo colorante non ci si limita a estrarre “qualcosa” dalla pianta tintoria. Nel vegetale si trova infatti un glicoside chiamato indicano, il quale viene scisso in indossile e glucosio per mezzo di un processo di fermentazione. Sarà poi il primo liquido, l’indossile, per mezzo dell’ossidazione – una volta esposto all’aria – a trasformarsi nel colorante indaco.
Per secoli non c’è stata una reale alternativa all’indaco di origine vegetale. Solamente nel 1883 un chimico tedesco, Adolf von Baeyer (peraltro premio Nobel pochi anni dopo proprio per gli studi effettuati sui coloranti) riuscì a sviluppare un indaco sintetico.
Una questione di resistenza alla luce
Abbiamo visto quali sono le differenze tra coloranti e pigmenti. Visti i comportamenti differenti tra queste due sostanze, non stupisce che i primi siano molto usati nel campo tessile, e che i secondi trovino un grande utilizzo in campo artistico. Più nello specifico, nella maggior parte dei casi i produttori di colori a uso artistico utilizzano unicamente pigmenti per i prodotti di più alta qualità, utilizzando eventualmente dei coloranti per le linee più economiche. Il discorso può però variare in modo sensibile di marchio in marchio.
In ogni caso, è bene sapere che, quanto a risultato – come anticipato sopra – ci sono tendenzialmente delle differenze abbastanza nette tra pigmenti e coloranti. La differenza che più deve interessare al pittore è quella relativa alla resistenza alla luce: nel caso dei pigmenti si parla di un livello di resistenza alla luce che va da ridotta a eccellente. Nel caso dei coloranti, si parla invece di un intervallo che va da ridotto a moderata.
Vale la pena di ricordare che, quando si parla di resistenza alla luce – quella che gli inglesi chiamano più sinteticamente lightfastness – si indica quanto una sostanza colorante (sia essa un pigmento o un colorante vero e proprio) viene influenzata dalla luce ultravioletta. L’ultravioletto si trova sia nella luce naturale che in quella artificiale, e ha la caratteristica di andare a sbiadire un colore. Alcuni colori non vengono sbiaditi affatto, altri lo fanno molto lentamente, altri invece finiscono per sbiadire nel giro di pochi giorni.
Si capisce quindi che, mediamente, i colori realizzati con dei pigmenti tendono ad avere una durata maggiore, con un minore rischio di sbiadimento.
Ora non ci dovrebbero davvero essere più dubbi su qual è la differenza tra coloranti e pigmenti!
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