L’intelligenza artificiale ucciderà l’arte?

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L’intelligenza artificiale può fare l’arte? E se sì, in un processo al tempo stesso evolutivo e distruttivo, può arrivare a distruggerla, uccidendone l’essenza?

Queste, non ci sono dubbi, sono domande estremamente complesse, alle quali dare risposta è tutt’altro che semplice. Ma tali quesiti, di fronte allo sviluppo sempre più forte dell’AI, e di fronte all’uso concreto che se ne sta facendo anche nel mondo dell’arte negli ultimi anni, sporgono spontanei.

I social network propongono sempre più spesso immagini di disegni e dipinti eseguiti non a mano da un artista, quanto invece da un’intelligenza artificiale, e quindi da una lunga serie di algoritmi che, a partire da dei comandi sintetici, riesce a sviluppare quella che – a una prima vista, e spesso anche a una seconda e a una terza – potrebbe essere una vera opera d’arte frutto dell’ingegno umano.

Oggi vedremo quali sono i risultati concreti che sono stati raggiunti finora, e quali sono le opinioni di diversi esperti riguardo al rapporto tra arte e intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale, in poche parole

Ma cos’è nel concreto l’intelligenza artificiale? Si tratta di una disciplina che studia i metodi e le tecniche che consentono di progettare dei sistemi hardware e software in grado di permettere a un elaboratore di fornire delle prestazioni che potrebbero sembrare frutto dell’intelligenza umana.

Ma attenzione: l’obiettivo dell’intelligenza artificiale non è quello di replicare l’intelligenza dell’essere umano, cosa che sotto molti aspetti risulta impossibile o quantomeno non ammissibile. Di fatto l’IA punta a emulare l’intelligenza umana.

Il sito del Parlamento Europeo, per esempio, definisce l’IA come “l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività” e più nello specifico come qualcosa che “permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo”.

E se l’obiettivo fosse un’opera d’arte? È davvero possibile che degli algoritmi riescano a produrre dell’arte, se intendiamo quest’ultima come un’attività attraverso la quale l’essere umano esalta il proprio talento inventivo e le proprie capacità espressive?

In effetti, guardando alle varie definizioni di arte, si finisce sempre inevitabilmente a parlare di un’attività umana. Anche perché, fino a qualche anno fa, ipotizzare qualcosa di diverso sarebbe risultato di fatto folle. Come vedremo nel prossimo paragrafo, però, le cose ora sono più complicate.

Gli esempi di OpenAi e del linguaggio GPT

Cerchiamo di capire in che modo il mondo dell’intelligenza artificiale si sta avvicinando a quello dell’arte. Nel concreto, il principale ponte tra questi due mondi di per sé molto distanti è rappresentato da un modello di linguaggio chiamato Generative Pre-trained Transformer, in sigla GPT. Si parla di un linguaggio capace di creare dei testi o delle immagini a partire da degli input testuali, i quali possono essere anche piuttosto scarni.

Facciamo subito un esempio pratico: attraverso questo linguaggio, dando un input come “illustrazione di un gatto che dorme su un divano” un’intelligenza artificiale ben allenata riuscirà a disegnare un gatto che dorme su un divano.

Ma in che senso l’intelligenza artificiale deve essere “allenata”? Gli sviluppatori di un’intelligenza artificiale vanno ad allenare, o ancora meglio a nutrire i propri algoritmi con una lunga serie di documenti (come per esempio dipinti di pittori del passato), cosicché l’IA, in estrema sintesi, riesca ad apprendere nuove informazioni, evolvendo e diventando sempre più capace.

A sviluppare il linguaggio GPT è stata una società non-profit statunitense, fondata nel 2015, chiamata OpenAI. Sicuramente il nome di uno dei due fondatori ti è noto: parliamo infatti di Sam Altman, un imprenditore attivo nel settore tecnologico, e di Elon Musk, già amministratore di Tesla, di Spacex e di The Boring Company, nonché – da poco – presidente e proprietario di Twitter. L’obiettivo della società è quello di dare a tutti la possibilità di creare dei sistemi IA.

Lo sviluppo del linguaggio GPT negli anni

Negli anni successivi, OpenAI ha presentato i primi linguaggio GPT, i quali si sono evoluti nel tempo: dal GPT si è passati al GPT-2, e da questo al GPT-3, chiamato DALL-E, una simpatica crasi tra il nome di Salvador Dalì – non a caso un pittore surrealista – e il famoso robottino Wall-E della Pixar. Oggi siamo arrivati al DALL-E 2.

Lo sviluppo del linguaggio è stato velocissimo, partendo peraltro già da basi sorprendenti: gli stessi sviluppatori e ricercatori responsabili del progetto hanno spiegato che «la capacità di GPT-3 di generare diversi paragrafi di contenuto sintetico che le persone fanno difficoltà a distinguere da testi scritti da esseri umani rappresenta un traguardo preoccupante». E in effetti la preoccupazione è una delle tante sensazioni che nascono nel contemplare i lavori frutto di queste intelligenze artificiali, insieme alla sorpresa e alla curiosità.

Immagine generata con la frase “Computer ricoperto di colore, dai toni brillanti”

Nel concreto, il linguaggio GPT-3 riesce a generare delle immagini partendo da delle descrizioni testuali e dallo “studio” di un dataset di accostamento tra testi e immagini. E i risultati di questi primi esperimenti sono in buona parte noti.

Alcune volte i disegni che risultano sono quantomeno bizzarri e lacunosi, mentre altre volte sono assolutamente completi e convincenti, per quanto spesso stravaganti. Del resto spesso sono gli stessi input immessi dai ricercatori a essere bizzarri: è stata resa pubblica per esempio la serie di disegni realizzati dall’intelligenza artificiale di OpenAI a partire dalla stringa di testo “un’illustrazione di una radice di daikon in un tutù che porta a spasso un cane” oppure la serie di immagini risultanti dalla stringa “una poltrona a forma di avocado”.

Immagine generata con la frase “Pesce pagliaccio dipinto con gli acquerelli, illustrazione per libro”

Google AI: gli esperimenti di Imagen

Va detto che OpenAI non è l’unico soggetto che sta lavorando in questo campo. Tutt’altro. La stessa Google sta dedicando delle risorse a quest’attività, mettendo a punto una tecnologia conosciuta come Imagen.

I risultati raggiunti finora possono essere paragonati a quelli di DALL-E, anche se va detto che non è dato sapere quale sia la proporzione tra esperimenti falliti non resi pubblici ed esperimenti invece con esito positivo e quindi fatti circolare.

L’intelligenza artificiale può fare arte? I casi Edmond de Belamy e Théâtre D’opéra Spatial

A livello teorico, o persino etico, si potrebbe discutere per decenni per decidere se l’intelligenza artificiale possa effettivamente produrre delle opere d’arte. Ma quel che è certo è che ci sono dei lavori effettuati da delle IA che sono state trattate a tutti gli effetti come tali.

Un caso famoso è quello del dipinto Edmond de Belamy. Si tratta di un opera d’arte realizzata dal collettivo parigino Obvious, il quale ha formato un’IA in modo che potesse realizzare un quadro convincente, che nella sua forma finale porta in un angolo a destra la “firma” dell’autore, ovvero il codice dell’algoritmo che ha generato l’opera.

Il lavoro in questione è stato venduto dalla casa d’aste Christie’s per 430 mila dollari circa. Per addestrare l’IA il collettivo parigino avrebbe “mostrato” al sistema circa 15 mila dipinti realizzati tra il XIV e il XX secolo.

Obvious, Edmond de Belamy, 2018, 70 cm × 70 cm

Un altro esempio ancora è l’opera intitolata Théâtre D’opéra Spatial, realizzata da Jason Allen con l’intelligenza artificiale resa disponibile dal sito midjourney.com midjourney.com. Ebbene, questa opera ha vinto il concorso artistico della Colorado State Fair nella sezione Digital Arts / Digitally-Manipulated Photography, scatenando un mare di polemiche.

Non si parla peraltro solamente di dipinti. C’è per esempio l’artista di New York Ben Snell, il quale ha addestrato il proprio computer per diventare scultore, facendogli studiare oltre 1.000 sculture classiche, dal David di Michelangelo in poi. Uno dei risultati – che peraltro è stato realizzato usando della polvere realizzata a partire dalla frantumazione della stessa scheda madre del computer che ha progettato la scultura – è stata messa in vendita presso la casa d’aste Phillips, a Londra.

L’intelligenza artificiale usata per copiare i lavori dei maestri

Un uso curioso che è stato fatto nell’ultimo periodo di DALL-E2 è stato quello di copiare i classici dell’arte mondiale. Tra i risultati più famosi ci sono per esempio le riproduzioni de Il bacio di Gustav Klimt e di La ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer. È interessante in questi casi analizzare i punti in comune e le differenze tra i diversi lavori.

È del resto questo l’obiettivo del progetto “Next Rembrandt”, lanciato nel 2014 proprio per verificare se, attraverso l’uso di computer, sia possibile far rivivere un grande maestro del passato, imitando il più possibile la tecnica di Rembrandt attraverso l’uso di una stampante 3D, capace quindi di riprodurre anche le pennellate del celebre artista.

L’intelligenza artificiale ucciderà l’arte?

Questa è, in estrema sintesi, la situazione attuale. Come porsi di fronte a questi sviluppi? Si tratta davvero di arte? E quali possono essere i risultati sul lungo termine? In molti si domandano se, dati questi presupposti, l’intelligenza artificiale possa finire per soppiantare l’artista come lo conosciamo da secoli.

Il noto critico d’arte Mike Pepi, in un’intervista rilasciata alla testata d’arte Art Basel, si è detto “frustrato” da tutte quelle persone che, arrivando dal mondo high-tech, pretendono di fare dell’arte puntando a risultati surreali. Dal suo punto di vista, i risultati di queste attività sarebbero di origine tecnologica, e non creativa, e quindi di fatto non rientrante nel mondo dell’arte.

Come spiegato sulle pagine di Il Post da Filippo Lorenzin, direttore artistico del Museum of Contemporary Digital Art (MoCDA), il modello di DALL-E «crea un cortocircuito nel nostro modo di intendere la creatività». A essere perturbante non sarebbe tanto il fatto che “l’intelligenza artificiale calcola il risultato visivo del prompt testuale, bensì il fatto che sia proprio quello lì. Tra infinite possibili varianti, ha determinato una singola presentazione, suggerendo che per colori, stile, aspetto e articolazione sia la più consona per mostrare ciò che le è stato richiesto”.

Certo, l’analisi di questi lavori può risultare interessante, tenendo sempre in considerazione che il risultato prodotto dall’IA è pur sempre il risultato, anche e soprattutto, del background dei ricercatori che l’hanno programmata. Ma allo stesso tempo, ha affermato Lorenzin, “è prova di quanto unidimensionale sia l’orizzonte estetico contemporaneo, dove stili, tecniche e soggetti perdono le connotazioni che li definiscono per diventare tag”.

Immagine generata con la frase “Donna che lavora al computer, nello stile di Rembrandt”

L’IA come mezzo per fare dell’arte

Non va trascurato il fatto che ci sono degli artisti che, negli ultimi anni, si sono fatti conoscere per un utilizzo “intelligente” e creativo dell’intelligenza artificiale a uso artistico. Vera Molnar è per esempio una delle pioniere della computer art, e ha iniziato ad affiancare la ricerca e l’utilizzo degli algoritmi già nei tardi anni Sessanta. Altri artisti ai quali guardare, in questo senso, possono essere Trevor Paglen, Agnieszka Kurant e Ian Cheng.

Come detto, esistono diverse prospettive dalle quali partire per guardare al rapporto tra intelligenza artificiale e arte. É possibile anche guardare all’IA come a uno strumento, come ce ne sono tanti nel mondo dell’arte.

La semplicissima matita, l’accoppiata tra pennello e tavolozza. Ma anche strumenti più complessi, come la chitarra, il pianoforte, la macchina da scrivere. E se l’intelligenza artificiale diventasse essa stessa uno strumento, in mano a degli artisti capaci di andare oltre il feticismo per questa nuova tecnologia?

Certo, qui bisogna capire se l’arte è tale a prescindere dallo strumento usato, e se l’insieme delle attività di programmazione, sviluppo, utilizzo, implementazione, correzione, memorizzazione necessarie per usare un modello di intelligenza artificiale siano da intendersi come dei procedimenti, in un certo qual modo, artistici.

E tu, che cosa ne pensi?

Articolo scritto da:

Federico è appassionato di scrittura, di arte e di sport. Su MomArte si occupa della realizzazione degli articoli e dei rapporti con gli Artisti con cui collaboriamo!

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