Artiste e artisti sono coloro che vivono in modo sregolato? La storia dell’arte è costellata di personaggi che effettivamente hanno mostrato stili di vita del tutto particolari, nonché di artisti che indubbiamente hanno avuto a che fare con disturbi di vario tipo. Ecco allora che, secolo dopo secolo, è andato via via costruendosi il binomio di arte e follia, in parallelo a quello di genio e sregolatezza.
Ma è davvero così? Davvero la creatività nasce da una qualche disfunzionalità? La diffusa familiarità di diverse eminenti persone creative con la psicopatologia deve portarci a credere che questa debba essere la norma? Oggi cercheremo di rispondere a questa domanda, cercando di demolire almeno un po’ quello che, da certi punti di vista, sembra essere uno stereotipo (duro a morire).
- L’artista disfunzionale
- L’idea del creativo infelice
- L’artista deve essere un po’ folle?
- Il rapporto tra disordine e creatività
- L’arte come scienza
- Apertura non è sregolatezza; emozioni, non pazzia
L’artista disfunzionale
Iniziamo la nostra indagine da un’intervista che, se paragonata ai tempi della storia dell’arte, è decisamente recente. Parliamo di una chiacchierata tra Charlie Rose e David Bowie , datata 1998. Non tutti lo sanno, ma il grande cantautore è stato anche un appassionato e sì, stimato pittore: i suoi lavori spaziano tra l’espressionismo londinese e il graffitismo, e oggetto dell’intervista era proprio questo “aspetto” della creatività di Bowie.
Ecco, in questa intervista il fu Duca Bianco descrisse il suo processo creativo – musicale e pittorico – come qualcosa di non particolarmente piacevole, come un qualcosa che “deve essere fatto” ma senza che questo porti a della gioia. Più avanti nell’intervista confidò di essersi sempre chiesto se «essere un artista in qualsiasi modo, in qualsiasi natura, sia un segno di un certo tipo di disfunzione, una disfunzione sociale» per poi aggiungere che «è una cosa straordinaria da voler fare; esprimere sé stessi in termini così rarefatti. Penso che sia una cosa da pazzi da voler fare».
Bowie descriveva l’arte come qualcosa di tortuoso, pazzesco e non particolarmente felice. Ecco, questa testimonianza moderna, per quanto peculiare, non è fuori dagli schemi: l’associazione tra sregolatezza e arte ha radici molto antiche.
L’idea del creativo infelice
L’idea che il creativo sia infelice e torturato ha iniziato a svilupparsi molto presto. Pensiamo che già negli scritti di Aristotele si trovano affermazioni come questa: «gli eccessi che la bile determina fanno sì che tutti i melanconici si distinguano dagli altri uomini, non a causa di una malattia, ma a causa della loro natura originale». Come a dire che la malinconia è una componente importante dell’originalità.
E il fatto che una certa infelicità di fondo fosse essenziale per l’artista è rimbalzato dei secoli, arrivando fino al Rinascimento, con Michelangelo che spiegò «la mia allegrez’è la malinconia», per poi associare altre volte in modo indiretto ma chiaro questa sensazione alla pazzia: raccontando di una cena a cui partecipò spiegò infatti «ebbi grandissimo piacere, perché uscì un poco del mio malinconico, ovvero del mio pazzo».
Ma non pensiamo unicamente ai pittori o agli scultori. Pensiamo anche ai musicisti: di certo l’idea del rocker tormentato non è nata all’improvviso. No, anche qui ci sono precedenti illustri, con musicisti che proprio dal dolore e dagli ostacoli sembravano prendere forza. Ecco allora che c’è Beethoven, il sordo; c’è Chopin, che come è noto soffriva di tisi; c’è Schubert, alle prese con la sifilide; e ovviamente c’è Schumann, che si ipotizza fosse schizofrenico.
E di certo ci furono grandi scrittori che in un modo o nell’altro avvalorano questo modo di pensare. Marcel Proust scrisse che «ciò che è grande nel mondo lo dobbiamo ai nevrotici», e Thomas Mann rincarò la cosa scrivendo che «la malattia è in certo qual modo degna di venerazione, poiché serve ad affinare l’uomo, e renderlo intelligente ed eccezionale».
L’artista deve essere un po’ folle?
Come detto, di artisti che ebbero a che fare con disordini mentali non ne mancano affatto. Quando si pensa all’artista sregolato in molti fanno andare immediatamente i pensieri a Vincent Van Gogh, non fosse per il famoso episodio dell’orecchio.
Una diagnosi fatta recentemente a partire dalle informazioni in nostro possesso – pubblicata dall’International Journal of Bipolar Disorders – ci dice che probabilmente il pittore soffriva di un disturbo bipolare dell’umore associato a disturbo borderline della personalità, il tutto reso più grave sia dall’abuso di alcolici che dai lunghi periodi di malnutrizione. Ci furono inoltre – sostengono gli studiosi – episodi di depressione e di fasi di delirio.
E con la depressione e l’alcolismo ebbe a che fare anche il genio del dripping, Jackson Pollock, la cui vita viene non a caso spesso citata per parlare della “sregolatezza dell’artista moderno”. Di depressione, e probabilmente di tendenze autodistruttive, si potrebbe parlare anche nel caso di Jean-Michel Basquiat, definito da molti come il genio maledetto dei graffiti.
Ma non è solo la modernità a presentarci degli artisti dalla vita sregolata e in qualche modo un po’ folle. Pensiamo a Caravaggio: quello che fu il più famoso pittore di Roma nel 1600, da quella stessa città dovette fuggire, dopo aver ucciso un uomo – Ranuccio Tomassoni da Terni – durante una rissa, scaturita forse da debiti di gioco non pagati dall’artista o magari, si dice, per l’amore di una donna, Fillide Melandroni.
Il rapporto tra disordine e creatività
A partire dalle basi che abbiamo visto, è stato indagato dai più diversi punti di vista il rapporto tra arte e sregolatezza. Uno studio del neuroscienziato Robert Thatcher suggerisce per esempio che la creatività sia figlia – anche – del disordine. Da questi risultati alcuni – tra cui l’autore Steve Johnson – hanno voluto indagare ulteriormente il legame tra caos e stimolo creativo, arrivando ad affermare che la scintilla creativa nasce quando si permette alle proprie idee e ai propri pensieri di spaziare.
Occhio, però: non vuol dire che più si è disordinati e più sregolati, più si è creativi. Quel che si può arguire da questi studi è piuttosto il fatto che lì dove c’è contaminazione, lì dove c’è rimescolamento, la creatività aumenta.
Ecco allora che avere più hobby – dipingere, leggere, camminare – permette di far scaturire più facilmente nuove idee. L’importante sembra non tanto quindi vivere nel caos, quanto invece essere aperti al confronto, essere curiosi, essere disposti alle associazioni di idee, trovare nuovi nessi, nuove sintesi.
L’arte come scienza
Abbiamo già iniziato a togliere qualche pietruzza da quello stereotipo che vede associare in modo incondizionato sregolatezza e arte, follia e creatività. Facciamo ora un altro passo: sempre più spesso si lavora sul rapporto tra arte e scienza, trovando via via molti punti in comune. Solitamente si tende a pensare che il sapere scientifico sia oggettivo e impersonale, laddove invece quello artistico sia soggettivo e personale.
Ma è davvero così? Non proprio: un’arte puramente ed esclusivamente soggettiva non riuscirebbe a creare quella comunicazione necessaria per essere condivisa. Va poi detto che arte e scienza sono cresciute in parallelo, l’una stimolando l’altra.
Partendo da questo presupposto è facile individuare tanti artisti che vollero vedere nella propria arte una scienza, e che alla sregolatezza opposero lo studio, la disciplina e il metodo. Un ottimo esempio è quello di Georges Seurat, il pittore nato nel 1859 che diede il via al puntinismo. Parlando del suo pubblico, egli disse che «vedono la poesia in ciò che faccio. No, io applico il mio metodo ed è tutto».
E in effetti le cose stavano proprio così: fu proprio dopo un intenso studio delle teorie dei colori e della luce che iniziò ad applicare in modo sistematico un metodo scientifico all’attività pittorica. Fu così che diede vita ai capolavori che si fondano sulla complementarità dei colori e sulla mescolanza ottica, dove ogni passaggio è realizzato a partire da uno studio del funzionamento della retina dei nostri occhi.
Apertura non è sregolatezza; emozioni, non pazzia
Chi è quindi il vero artista o la vera artista? È il creativo o la creativa geniale e un po’ sregolato o sregolata? Non proprio, sicuramente non sempre. Il vero artista la vera pittrice, se volessimo creare davvero dei confini – cosa che però non ci piace tanto fare – potrebbe invece essere colui o colei che sa dominare le proprie energie e le proprie emozioni, e che riesce a sublimarle proprio con le sue competenze e con il suo talento artistico.
Non è il dolore a rendere artisti o artiste, e se è per questo non è nemmeno la gioia: a fare la differenza è il talento, che può essere di certo innato ma anche coltivato, affinato, perfezionato e sviluppato con l’impegno e l’allenamento.
Di certo è sbagliato – per tantissimi e più motivi – affermare che l’artista è per forza sregolato. Perché ci sono migliaia di esempi di pittori, scrittori, scultori e cantanti che hanno utilizzato in maniera meticolosa studio, disciplina e metodo.
La curiosità, la voglia di mettersi alla prova, il desiderio di sperimentare, il bisogno di comunicare qualcosa: questi, sì, sono effettivamente punti in comune tra gli artisti, ben più della sregolatezza. Anche perché, non si può certo nasconderlo, chi vuole diventare un artista ha bisogno di metodo; chi vuole diventare un artista professionista, ha in particolar modo bisogno di organizzazione e sì, anche di parecchia lucidità.
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