Oggigiorno è una faccenda di pochi secondi. È sufficiente connettersi al nostro negozio online di prodotti per la pittura e per il disegno e selezionare i colori dei quali si ha bisogno, muovendosi tra colori a olio, acrilici , tempere e acquerelli, per acquistare dei colori sfusi oppure dei set di tubetti già selezionati.
Un tempo non era certo così facile: si pensi per esempio alle pittrici e ai pittori del medioevo, che dovevano contattare i vari fornitori per acquistare quello o quell’altro pigmento, nonché talvolta mettersi alla ricerca nella natura per trovare quello che non era possibile – o conveniente – acquistare.
I veri pionieri in fatto di pigmenti furono donne e uomini preistorici, i quali non avevano a disposizione né e-commerce, né mercanti, né conoscenze pregresse e trattati sull’uso di minerali e leganti per ottenere dei colori. Quali erano quindi i pigmenti della preistoria?
- La pittura rupestre: una premessa
- I pigmenti della preistoria
- Un esempio concreto: i pigmenti delle grotte di Lascaux
La pittura rupestre: una premessa
A cosa ci si riferisce nel concreto quando si parla di pitture rupestri? Con questo nome si indicano delle manifestazioni artistiche di tante tipologie differenti che sono state realizzate su superfici rocciose, all’aperto ma soprattutto – per quanto riguarda le testimonianze arrivate fino a noi – all’interno di grotte e di ripari. Si tratta di pitture, di incisioni o di impressioni. Siti particolarmente famosi si trovano nella Francia sud-occidentale, sui Pirenei in Spagna, nel Sahara e via dicendo. In Italia si trovano esempi interessanti in Valcamonica, a Levanzo, e in Puglia, per citare i principali.
Nella maggior parte dei casi l’arte rupestre preistorica arrivata fino a noi raffigura animali e figure umane; per quanto riguarda l’arte paleolitica si parla per di più di dipinti per propiziare delle buone battute di caccia o per favorire la fecondità.
Fino a non molto tempo fa si pensava che le pitture rupestri fossero un’esclusiva dell’Homo Sapiens. Si è però scoperto piuttosto recentemente che in realtà esistono degli esempi realizzati non 20mila o 30mila anni fa, quanto invece almeno 64mila anni fa: gli autori di questi lavori artistici dovrebbero quindi essere dei Neanderthal. Questa scoperta, come ha sottolineato sulle pagine dell’Ansa il geoarcheologo Diego Angelucci dell’Università di Trento «riscrive il nostro punto di vista sulla preistoria antica, perché indicano che l’uomo è diventato “umano” prima di quanto immaginavamo». Questi antichissimi esempi di pittura rupestre si trovano nelle grotte spagnole La Pasiega, Maltravieso e Ardales, dove troviamo dipinti di gruppi di animali, impronte di mani e segni geometrici, il tutto dipinto con nero e ocra. Ma quali pigmenti utilizzavano nel concreto gli uomini preistorici per dipingere?
I pigmenti degli uomini preistorici
Non poteva che essere altrimenti: i pigmenti per dipingere venivano ricavati da donne e uomini preistorici, e quindi dagli Homo Sapiens e ancor prima dai Neanderthal, dall’ambiente circostante. Sappiamo con certezza che, ancor prima di 30mila anni fa, l’uomo era in grado di miscelare tra loro delle diverse sostanze pigmentate per ottenere quella o quell’altra sfumatura.
Ma quali colori troviamo in queste prime manifestazioni artistiche? Troviamo il rosso, il giallo, bianco e il nero, che potevano essere riprodotti con diversi ingredienti di partenza. Il rosso poteva essere realizzato con le terre d’ocra, il giallo con l’ematite, il bianco con il gesso e con la marna, il nero con il carbone e con la pirulosite.
Più tardi, molto più tardi, si iniziò a cercare dei pigmenti più intensi per determinati colori, andando a scomodare per esempio il mondo dei molluschi per ottenere un certo tipo di rosso, o a scavare in grotte afghane per ottenere un blu intenso.
Ma quali leganti venivano usati per tenere insieme questi pigmenti, e per trasformare della polvere in colore, da usare con le dita delle mani, con degli stecchetti o con della pelliccia? Si parla di diverse tipologie di leganti naturali, a partire dal grasso animale, per arrivare alla resina, al succo di limone, all’albume e alla cera d’api.
Un esempio concreto: i pigmenti delle grotte di Lascaux
Tutti hanno sentito parlare delle celebri grotte di Lascaux, nel villaggio di Montignac, nella Francia sud-occidentale. Patrimonio dell’Umanità Unesco fin dal 1979, le grotte sono state trovate casualmente nel 1940 da quattro ragazzi francesi. I dipinti che si trovano al loro interno sono stati datati al Paleolitico superiore, e quindi circa 17.500 anni fa. Si parla soprattutto di dipinti di animali (se ne contano in tutto circa 900 tra bovini, bisonti, certi, equini e felini).
I pigmenti utilizzati
Ma quali pigmenti hanno usato uomini e donne preistorici per dipingere le grotte di Lascaux? Negli anni sono stati svolti tanti diversi studi in questo senso, a partire dell’analisi dei frammenti delle pareti. Nero scurissimo, grigio oliva, giallo chiaro, giallo brunastro, rosso pallido, rosso giallastro: nei dipinti si trovano quattro gruppi di colori, i neri, i rossi, i gialli e i banchi, in tantissime sfumature differenti. Si ha a che fare con dell’ossido di manganese per i neri, e con dell’ocra per i rossi e per i gialli, tutti pigmenti disponibili in un raggio di cinque chilometri dalle grotte.
Studi successivi hanno poi dimostrato che i pigmenti venivano lavorati in modo spesso molto complesso. É per esempio certo che, per ottenere un certo pigmento, i pittori di Lascaux crearono il fosfato di calcio, a partire dalla cottura ad altissime temperature dello ossa animali. Il fosfato veniva poi mescolato con della calcite, e riscaldato nuovamente. E ancora, per creare un certo tipo di bianco, che in passato si era pensato fosse del semplice caolino, erano stati mescolati argilla, quarzo e calcite.
I leganti utilizzati
Quanto ai leganti usati, sembra che in molti casi i pigmenti siano stati semplicemente mescolati con dell’acqua di roccia, naturalmente ricca di calcio, e quindi in grado già di per sé di assicurare durata e adesione del colore.
Tanti altri interessanti studi hanno poi rivelato secondo quali modalità furono realizzati a Lascaux i pennelli, le impalcature e le lampade che resero possibile la creazione di questi formidabili dipinti.
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